Nel giugno 2015, rispondendo alla programmazione attuativa locale definita dall’azienda sociosanitaria ULSS 6 Euganea (piano di zona 2011/15), nascono le prime due comunità educativo-riabilitative per adolescenti nel territorio dell’Alta Padovana, a San Giorgio delle Pertiche. E’ la Grande Casa, fondazione che da un trentennio opera nell’ambito dei servizi educativi rivolti agli adolescenti e alle loro famiglie, ad accettare la sfida di investire risorse ed esperienze in un progetto per la cura e la riabilitazione in situazioni che richiedono tempestività, intensità e continuità degli interventi. Così sorgono due strutture educativo-riabilitative per adolescenti di entrambi i sessi con un’età compresa tra gli 11 e i 17 anni, una diurna e una residenziale. Entrambe le strutture sono specificatamente dedicate a forme di patologie psico-relazionali che necessitano di interventi articolati e specializzati, di continuità temporale plurisettimanale e di scansioni temporali prolungate. L’intervento, altamente specialistico, prevede una presa in carico a più livelli (educativo, riabilitativo e terapeutico), fondando la propria funzione di pubblica utilità nello scambio continuo e proficuo con la rete dei servizi sociosanitari del territorio. Quest’ultimo individua le situazioni che maggiormente potrebbero beneficiare di questo tipo di intervento e dispone, attraverso l’elaborazione di un progetto quadro, l’inserimento presso le comunità. A loro volta le comunità, tenendo conto del gruppo dei ragazzi già inseriti, avviano una presa in carico monitorata e graduale che, nelle prime settimane per il residenziale e nei primi tre mesi per il diurno, si concretizza nell’elaborazione di un progetto educativo terapeutico-riabilitativo chiamato PETRI. Il PETRI è lo strumento che permette, attraverso un’osservazione puntuale e clinicamente orientata, una sintesi degli interventi potenzialmente utili da attuare durante la presa in carico dell’adolescente. Grande Carro e Zefiro, comunità rispettivamente diurna e residenziale, condividono un intero rustico, circondato da un’area verde con spazi delimitati tra loro, ma soprattutto condividono un approccio all’adolescenza che tiene conto della complessità dei possibili interventi: individuali e gruppali, educativi e terapeutici, ludico-ricreativi, di sostegno ai compiti evolutivi, ecc. Sia nel diurno che nel residenziale i ragazzi hanno la possibilità di fare una nuova esperienza in una prospettiva temporale con un termine ben delimitato, la maggiore età. La metafora del percorso si adatta dunque bene a rappresentare un lavoro che si configura come accompagnamento alla crescita psichica e fisiologica in situazioni in cui si rischiano blocchi paralizzanti dei processi maturativi a causa di agiti/comportamenti inevitabilmente correlati alla fase evolutiva.
Il nostro mandato istituzionale, sociale e sanitario, è rivolto prevalentemente agli adolescenti che dalla prepubertà in poi mettono in crisi un fragilissimo equilibrio, comunque raggiunto, e cominciano a manifestare segni di insofferenza in famiglia, a scuola e in tutti i contesti, formali e informali, deputati ad accoglierli. Le richieste d’invio attengono a problematiche di vario tipo, che al di là dell’etichetta diagnostica più azzeccata e corrispondente, ci parlano di adolescenti in forti difficoltà psicosociali. Per intenderci possiamo suddividere le problematiche di cui ci occupiamo in due grandi categorie: internalizzanti, che riguardano comportamenti di ritiro, lamentele somatiche, ansia e depressione; ed esternalizzanti, come il comportamento deviante e aggressivo. Per alcuni di essi l’intervento diurno (CERD Il Grande Carro), che prevede una frequenza di quattro o cinque pomeriggi a settimana, può non essere sufficiente, configurando la necessità di un inserimento in residenziale (CERR Zefiro). Si procede a quest’ultimo o come intervento tutelare, su decreto del tribunale per i minorenni, o per un intervento nell’ambito della beneficità, quando la famiglia dichiara la propria difficoltà ad occuparsi del figlio (e comunque in accordo con il servizio sociosanitario inviante, che ravvede la necessità di un collocamento etero-familiare). Gli adolescenti accolti presso le nostre strutture rappresentano, attraverso segni e sintomi, il malessere della società di oggi e per questo la prospettiva con la quale ci proponiamo di intervenire deve tener conto dei tempi e delle innovazioni di cui i ragazzi sono i primi conoscitori. Cutting, cyber-bullismo e ritiro scolastico sono solo alcune delle manifestazioni di disagio con cui i nostri operatori si confrontano nella quotidianità. I giovani tendono oggi più che in passato a mettere in atto comportamenti a rischio, a soffrire di disturbi psichici e a incontrare difficoltà nel passaggio alla vita adulta. Le neuroscienze hanno permesso di spiegare le enormi differenze tra il cervello dei bambini, degli adolescenti e degli adulti e questo ci sarà utile nei prossimi anni per riconsiderare gli interventi da mettere in pratica nell’educazione, nella riabilitazione e nella terapia con gli adolescenti. Nel dettaglio le differenze sono più funzionali che anatomiche e riguardano prevalentemente le capacità di pensiero superiore, come la pianificazione o i processi decisionali complessi, la percezione delle gratificazioni e delle punizioni e l’elaborazione delle informazioni relative ai rapporti interpersonali. Nel programma degli interventi previsti per i ragazzi queste nuove informazioni ci hanno aiutato ad esempio a dare il giusto peso alla capacità di autoregolazione, che può venire compromessa da una deprivazione estrema nei primi anni di vita, ed è definita come la capacità di differire le gratificazioni e controllare i propri sentimenti. Più si è in grado di differire le gratificazioni e sviluppare l’autocontrollo, maggiori sono le probabilità che nella vita si arrivi con determinazione a raggiungere gli obiettivi desiderati. Gli studi hanno a questo proposito dimostrato l’importanza dell’ambiente; un ambiente in grado di disincentivare i comportamenti disadattivi e a rischio deve prevedere la presenza costante e competente di un adulto che svolga una funzione di regolazione esterna, che permetta gradualmente una transizione ad una regolazione interna. L’adulto in questo caso dovrà essere affettuoso, risoluto e incoraggiante. Le comunità educativo-riabilitative fungono in pratica da holding, offrendo ai ragazzi la possibilità di vivere in un ambiente sicuro in cui sono contenuti, protetti e al centro dell’attenzione. Solo in questa condizione ambientale di clima emotivo tutelante è possibile un’emancipazione evolutiva dagli agiti e dai ritiri sociali e sviluppare la necessaria regolazione degli affetti e dei comportamenti.
L’intervento clinico nelle nostre strutture è inteso come un intervento comunitario in cui si offre all’adolescente la possibilità di fare esperienza di relazioni coerenti e calorose che lo aiutino a canalizzare e ad esprimere il carico emotivo rappresentato nel sintomo. Il comune denominatore è il lavoro di gruppo, dispositivo in grado di attivare risorse nei singoli individui e metterle subito a disposizione in uno scambio tra pari. Tutto lo spazio comunitario, così come tutte le persone che lo animano, rappresenta uno “spazio altro” in cui è possibile per il ragazzo sperimentarsi in rapporti diversi, con persone diverse e in “luogo altro” da quello abituale, con la possibilità di modificare le rappresentazioni che ha di sé e pensarsi in un modo nuovo. Si privilegia la lettura della relazione all’interno delle dinamiche di gruppo per restituire al ragazzo un’immagine più integrata di sé all’interno del gruppo dei pari e nel rapporto con gli adulti significativi. Il gruppo può funzionare sia in modalità ludico-ricreativa, attraverso l’attivazione di laboratori, uscite e attività sportive, sia in modalità propriamente psicoterapica (psicodramma analitico). All’interno di esso si possono svolgere discussioni per accrescere la comprensione di sé e delle dinamiche del gruppo stesso, a partire dalla vita di tutti i giorni. Tutti sono incoraggiati a tradurre in parole ciò che pensano e sentono, anche per evitare azioni impulsive, e a condividere problemi ed esperienze per gestire in modo costruttivo conflitti e frustrazioni.
Lo psicodramma analitico è la forma di psicoterapia di gruppo ad orientamento dinamico che abbiamo preferito perché con provata efficacia, in questa fase evolutiva, essa offre la possibilità di affrontare i nodi problematici delle crisi evolutive in adolescenza attraverso la messa in scena e il gioco. In tal modo i ragazzi danno voce alle loro paure e difficoltà e, in un contesto alla pari, possono sperimentare soluzioni alternative a quelle che temono nella realtà o hanno già vissuto. Tutto questo in un terreno neutro, ludico e liberatorio in cui la rielaborazione della loro esperienza può avvenire rinarrando storie, reali o possibili, con diversi finali. Interventi educativi, riabilitativi e psicoterapici con strumenti diversi permettono al giovane di avviare il processo di individuazione senza essere lasciato da solo, ma prevedendo una serie di azioni di accompagnamento e di sperimentazione attiva. In particolare, durante la permanenza presso le comunità diurna e residenziale viene individuato un educatore di riferimento che garantisce la continuità e la stabilità della relazione con il ragazzo e si faccia portavoce della sua esperienza in comunità. L’evoluzione del progetto di presa in carico dell’adolescente viene seguita, oltre che dall’osservazione periodica di tutti gli operatori coinvolti, anche tramite l’incrocio dei risultati ottenuti da test di auto-somministrazione cui sono stati sottoposti i ragazzi, la famiglia e gli operatori di comunità. Lo scopo è disporre di un profilo il più possibile completo sulla situazione globale del ragazzo per comprendere le sue modalità di funzionamento e intervenire in modo mirato.
La partecipazione a convegni e conferenze e la pubblicazione su riviste scientifiche sono infine espressione della scelta di orientare il nostro lavoro nella forma di ricerca-intervento, basandoci su un impianto metodologico che implica il monitoraggio continuo di processi e risultati parziali e conduce alla valutazione dei risultati finali: non si tratta ovviamente solo di dare visibilità al nostro approccio, ma di favorire uno scambio con il resto della comunità scientifica e terapeutica e di disporre di strumenti moderni per valutare e migliorare continuamente il nostro lavoro.
Carolina Bonafede
Coordinatrice e Responsabile clinico CER